Può capitare di incontrare situazioni in cui le vie di esodo superano le lunghezze massime previste dalla normativa. Questo può capitare in attività non soggette al controllo dei Vigili del Fuoco (allegato I del D.P.R. 151/2011) dove sono presenti vincoli che impediscono la realizzazione di ulteriori uscite.
Eventi di questo tipo possono verificarsi anche quando non si tiene conto delle norme specifiche in fase di progettazione.
Come definire la lunghezza massima delle vie di esodo
Per i luoghi di lavoro, nei quali sono presenti lavoratori come definiti all’art. 2 comma 1 lettera a del D.Lgs. 81/2008, in merito alla valutazione del rischio di incendio e misure di prevenzione e protezione necessarie, si deve fare riferimento al D.M. 10/03/1998 che, all’articolo 3 comma 1 lettera b, prevede che:
1. All’esito della valutazione dei rischi dì incendio, il datore di lavoro adotta le misure finalizzate a:
b) realizzare le vie e le uscite di emergenza […] per garantire l’esodo delle persone in sicurezza in caso di incendio, in conformità ai requisiti di cui all’allegato III;
Le prescrizioni riportate nell’allegato III non si applicano, invece, alle attività soggette al controllo dei Vigili del Fuoco per le quali o si applicano le regole di prevenzione incendi specifiche, se presenti, o il codice di prevenzione incendi.
Parametri di ingresso da considerare
Al punto 3.2, troviamo questa importante indicazione:
“Nello stabilire se il sistema di vie di uscita sia soddisfacente, occorre tenere presente:
– il numero di persone presenti, la loro conoscenza del luogo di lavoro, la loro capacità di muoversi senza assistenza.
– dove si trovano le persone quando un incendio accade;
– i pericoli di incendio presenti nel luogo di lavoro;
– il numero delle vie di uscita alternative disponibili,“
Per definire la lunghezza massima delle vie di esodo, pertanto, dobbiamo considerare questi elementi:
a. livello di rischio di incendio che, in base al punto 1.4.2, deve considerare anche:
“b) individuazione dei lavoratori e di altre persone presenti nel luogo di lavoro esposte a rischi di incendio; “
Andando quindi a coprire il primo e terzo punto.
b. presenza di uscite alternative
Definiti questi due parametri, andremo ad analizzare il capitolo 3.3
Numero delle vie di esodo
E’ preferibile che ogni luogo di lavoro presenti almeno 2 vie di esodo alternative e indipendenti in modo non venga impedita l’unica via di esodo altrimenti presente. Il D.M. 10/03/1998 prevede che l’obbligo delle vie di esodo alternative e indipendenti sussista solo perle attività ad elevato rischio di incendio. Si richiama, però, il fatto che molte regole di prevenzione incendi richiedono la presenza di uscite alternative.
Definizione della lunghezza delle vie di esodo
In base ai parametri sopra definiti, potremmo trovarci in queste situazioni:
Si fa presente che le distanza sopra indicate si riferiscono alla lunghezza dei percorsi per raggiungere l’uscita di piano più vicina dove, per uscita di piano si intende: “uscita che consente alle persone di non essere ulteriormente esposte al rischio diretto degli effetti di un incendio e che può configurarsi come segue:
a) uscita che immette direttamente in un luogo sicuro
b) uscita che immette in un percorso protetto attraverso il quale può essere raggiunta l’uscita che immette in un luogo sicuro;
c) uscita che immette su di una scala esterna. “
Il tecnico, quindi, dovrà verificare le condizioni sopra evidenziate in base al livello di rischio e numero di vie di esodo disponibili.
In presenza di più vie di esodo, è possibile che alcuni tratti di percorso presentino un unico percorso. Si pensi ad un corridoio laterale che conduce al corridoio da cui si dipartono le due vie di esodo. Questi tratti di percorso non possono avere lunghezza superiore alle lunghezze previste per le vie di esodo in presenza di una sola via.
Come si vede, i valori delle lunghezze indicate dalla norma non sono numeri puri ma intervalli. E’ a carico del tecnico andare a capire quale numero scegliere in quell’intervallo tenendo conto del fatto che il luogo di lavoro sia:
“ – frequentato da pubblico;
– utilizzato prevalentemente da persone che necessitano di particolare assistenza in caso di emergenza;
– utilizzato quale area di riposo;
– utilizzato quale area dove sono depositati e/o manipolati materiali infiammabili.“
Cosa fare se non si riescono a rispettare le distanze previste?
Qualora la conformazione della struttura non permetta di ottenere vie di esodo della lunghezza massima derivata dallo schema precedente e dalle considerazioni tecniche effettuate, il D.M. 10/03/1998 riporta una serie di interventi che possono controbilanciare questo mancato rispetto.
“3.7 – MISURE DI SICUREZZA ALTERNATIVE
Se le misure di cui ai punti 3.3, 3.4, 3.5 e 3.6 non possono essere rispettate per motivi architettonici o urbanistici, il rischio per le persone presenti, per guanto attiene l’evacuazione dei luogo di lavoro, può essere limitato mediante l’adozione di uno o più dei seguenti accorgimenti, da considerarsi alternativi a quelli dei punti 3.3, 3.4, 3.5 e 3.6 solo in presenza dei suddetti impedimenti architettonici o urbanistici:
a) risistemazione dei luogo di lavoro e/o della attività così che le persone lavorino il più vicino possibile alle uscite di piano ed i pericoli non possano interdire il sicuro utilizzo delle vie di uscita.
b) riduzione dei percorso totale delle vie di uscita,
c) realizzazione di ulteriori uscite di piano;
d) realizzazione di percorsi protetti addizionati o estensione dei percorsi protetti esistenti.
e) installazione di un sistema automatico di rivelazione ed allarme incendio per ridurre i tempi di evacuazione. “
Si fa presente che l’adozione di queste misure alternative è prevista solo quando sono presenti vincoli architettonici che non permettono di modificare la struttura per rispettare i parametri previsti.
Per quanto concerne i “percorsi protetti”, questi sono definiti come: “percorso caratterizzato da una adeguata protezione contro gli effetti di un incendio che può svilupparsi nella restante parte dell’edificio. Esso può essere costituito da un corridoio protetto, da una scala protetta o da una scala esterna”. Se il percorso protetto immette direttamente su un luogo sicuro o scala esterna, la misurazione delle distanza può fermarsi alla porta di ingresso al percorso protetto.
Pertanto, la presenza di una scala protetta (ovvero una scala interna che forma un compartimenti rispetto al resto dei locali dei diversi piani mediante muri e porte tagliafuoco), è da considerarsi una misura alternativa qualora le lunghezze delle vie di esodo risultassero eccessivamente lunghe. Se dalla scala protetta si raggiunge direttamente l’esterno, in accordo con quanto prima indicato, la misurazione delle distanze si ferma alla porta di accesso alla scala. Se, invece, dalla scala si deve uscire in un altro compartimento per raggiungere l’esterno, questo principio non vale.