DPI è l’acronimo di Dispositivi di Protezione Individuale. Sono riconducibili a questo termine, tutti quei dispositivi che, opportunamente indossati, riducono i danni derivanti da eventuali incidenti.
Come tutti i dispositivi, anche questi vanno incontro ad usura dovuta a:
1) invecchiamento del materiale;
2) mancata o parziale manutenzione dello stesso;
3) pulizia che ne determina l’usura.
E’, quindi, di primaria importanza che l’organizzazione definisca dei sistemi di manutenzione e controllo degli stessi, nonché di monitoraggio circa l’usura dei dispositivi e la loro sostituzione in tutti i casi in cui non è possibile garantirne il corretto funzionamento.
All’interno di questo discorso, ricade la questione legata alla “scadenza” dei dispositivi. I contorni di questo discorso sono, allo stato attuale, ancora piuttosto fumosi e grigi. Si ritiene, pertanto, di interesse, fare il punto della situazione a livello normativo. Per farlo, richiamiamo la norma di riferimento dui DPI, ovvero il D.Lgs. 475/1992 e s.m.i., in particolare, l’allegato II punto 2.4., che recita:
“Se le prestazioni previste dal progettatore per i DPI allo stato nuovo possono diminuire notevolmente a seguito di un fenomeno di invecchiamento, su ogni esemplare o componente intercambiabile di DPI immesso sul mercato e sull’imballaggio deve figurare la data di fabbricazione e/o, se possibile, quella di scadenza impressa in modo indelebile e senza possibilità di interpretazione erronea. “
Come si evince da quanto sopra riportato, la norma non stabilisce l’obbligo di indicare la data di scadenza, legandola alla “possibilità” di farlo. Inoltre, la norma prosegue:
“Se il fabbricante non può impegnarsi per quanto riguarda la “durata” di un DPI, egli deve indicare nella sua nota informativa ogni dato utile che permetta all’acquirente o all’utilizzatore di determinare un termine di scadenza ragionevolmente praticabile in relazione alla qualità del modello e alle condizioni effettive di deposito, di impiego, di pulizia, di revisione e di manutenzione.”
Lasciando al datore di lavoro la definizione di un tempo, oltre il quale, il DPI, non può più essere considerato efficace al fine della protezione del lavoratore. Sebbene questa libertà possa indurre a pensare ad un certo lassismo, questo è, ragionevolmente, legato al fatto che la durata di un DPI non può prescindere dalle modalità di utilizzo, dagli ambienti di lavoro e dalla frequenza di utilizzo. Pertanto, risulta comprensibile delegare il datore di lavoro a definire la scadenza.
Una considerazione interessante, sempre derivata dalla lettura della norma, riguarda la pulizia dei DPI e l’impatto che questa può avere sulla sua durata:
“Qualora si constatasse che i DPI subiscono un’alterazione rapida e sensibile delle prestazioni a causa dell’invecchiamento provocato dall’applicazione periodica di un processo di pulitura raccomandato dal fabbricante, quest’ultimo deve apporre, se possibile, su ciascun dispositivo posto in commercio, l’indicazione del numero massimo di pulitura al di là del quale è opportuno revisionare o sostituire il DPI; in mancanza di ciò il fabbricante deve fornire tale dato nella nota informativa”
Diventa, allora, di primaria importanza, l’archiviazione dei libretti di uso e manutenzione dei singoli DPI in dotazione.
Pertanto, il datore di lavoro deve provvedere a:
1) per ogni DPI in dotazione, archiviare il libretto di uso e manutenzione;
2) dall’analisi del libretto, se non indicata formalmente dal costruttore, definire la scadenza del DPI;
3) informare i lavoratori circa i rischi che hanno reso necessario adottare il singolo DPI, le modalità di utilizzo e manutenzione e la scadenza degli stessi;
4) implementare una o più procedure per la gestione dei DPI che prevedano anche il controllo periodico del loro stato e la sostituzione dei DPI usurati o che non garantiscono più adeguata protezione.
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Ing. Fabio Rosito
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