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Verso le 12,15 del 3 ottobre 2011, crollava una palazzina in via Roma a Barletta, nei pressi del centro storico.
All’interno della palazzina abitavano quattro famiglie e un maglificio. A maggio di quest’anno, l’Ufficio Tecnico del Comune aveva chiesto l’interdizione al traffico di via Roma e i Vigili del Fuoco erano già intervenuti per rimuovere parte della muratura, prima che cadesse provocando danni ai passanti.
L’edificio faceva parte di tre strutture: tutte e tre in condizioni precarie, una sgomberata e l’altra puntellata.
Alla fine delle ricerche, daranno questi risultati: 4 morti e 5 feriti.
I quattro morti sono 3 operaie del maglificio e la figlia 14enne del titolare del maglificio stesso. Le operaie, tutte in nero, percepivano 3,95 euro/ora e lavoravano mediamente 6 ore al giorno per un totale mensile di circa 500 euro, da non confondere con il netto in busta paga, dove sono già detratti i contributi, la cassa previdenziale, il trattamento di fine rapporto ecc. Mi sorgono due domande:
1) Perché far lavorare delle persone in queste condizioni economiche e ambientali?
Molti risponderanno per combattere la concorrenza dei paesi stranieri, per lo più asiatici, che trattano i loro lavoratori in modo assolutamente inaccettabile. Risposta comprensibile, in prima istanza. Ma se ci pensiamo, davvero vogliamo appiattirci sui livelli di tutela più bassi, o vogliamo fare in modo che chi opera in condizioni inaccettabili sia costretto ad alzare lui il livello dell’asticella? Come fare? In gioco entriamo noi consumatori, con le nostre scelte più o meno responsabili, più o meno coscienti; entrano in gioco i grandi produttori, che invece che guardare al mero guadagno, devono cominciare a considerare anche le condizioni in cui i prodotti vengono realizzati.
2) Perché accettare di lavorare a queste condizioni economiche e ambientali?
Qui le risposte si sprecano, ma vorrei citare l’intervento del segretario generale della CGIL BAT, Luigi Antonacci, sulla Gazzetta del Mezzogiorno: “molte sono le lavoratrici che accettano situazioni analoghe a quelle delle operaie morte nel crollo perchè guadagnare pochi euro al giorno serve comunque per mandare avanti la famiglia e prendersi cura dei propri figli”. E questa, sicuramente, è la risposta che tutti daremmo.
Eppure qualcosa, anche qui, non torna: “mandare avanti la famiglia”, “prendersi cura dei propri figli”; come possono verificarsi queste condizioni, se io sono morto. Mi risponderete: “se l’avessero saputo…”. Ormai la frase non sta più in piedi: la valutazione dei rischi, la formazione dei lavoratori, la tutela assicurativa e previdenziale, sono elementi essenziali che, se mancano, sono campanelli di allarme che fanno presagire il peggio. Posso accettare queste condizioni, ma divento parte integrante di un sistema di sfruttamento delle maestranze e, tacitamente, accetto tutto questo.
Tutti noi, di fronte a queste tragedie, dobbiamo avere un moto di sdegno, prima di tutto, verso noi stessi, che ci giriamo dall’altra parte quando vediamo qualcosa che non va, quando giustifichiamo il sistema, quando ci conformiamo ad esso, in tutte le piccole attività quotidiane, partendo dalla scelta dei prodotti da comprare.

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